mercoledì 11 maggio 2016
Benvenuti a Salvaterra in questo giorno di festa. In questa villa, che era stata acquisita con il riciclo del denaro del commercio della cocaina, un veleno che ancora oggi uccide. Poi questa casa con giardino fu confiscata, e fu attribuita al Comune di Badia Polesine affinché ne destinasse l’utilizzo a finalità sociali. Questo è stato reso possibile dall’intuizione e dal sacrificio di Pio La Torre, che capì l'importanza di colpire le ricchezze mafiose sotto il profilo patrimoniale e ispirò la legge sulla confisca dei beni. E dall’impegno e la determinazione di Libera con Luigi Ciotti, che ha portato alla Legge 109/96 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati ai mafiosi. Oggi quella che veniva chiamata “villa del mafioso” viene portata alla sua nuova e giusta destinazione come “bene comune”, il primo bene confiscato assegnato in Veneto con bando pubblico, casa comune della cultura e della legalità. Una nuova tappa di un percorso che iniziava con la nascita di Libera in Polesine, proprio nelle ore in cui uscivano i risultati del referendum sull’acqua pubblica (13 giugno 2011). Un diritto degli uomini e delle donne, che tale deve essere, mentre rileviamo che 250.000 persone nel Veneto hanno nel sangue sostanze perfluoroacriliche (PFAS) provenienti dall’industria chimica per essersi dissetati.
A dispetto degli scettici, degli increduli, di quelli che “la mafia qui da noi non esiste”, anche se questa provincia è la prima in Veneto perdiffusione e l'intensità del fenomeno dell’associazione criminale, anche se c’è il caporalato nelle campagne, nell’edilizia e nelle aziende turistiche, anche se le patologie da gioco d’azzardo patologico sono altissime, anche di fronte agli episodi di usura ed estorsione, abbiamo tessuto reti, sgrezzato progetti, aperto relazioni e stretto rapporti. Dopo due anni nel 2013 abbiamo messo i piedi a Salvaterra, perché era ora “di aprire la porta, spalancare le finestre, dissodare la terra e piantare semi di giustizia”. E’ oggi arrivato il momento di stringere i nodi a quella rete, renderla più robusta, mettendosi in gioco se occorre con umiltà, senza mai perdere la bussola della prossimità e della giustizia sociale. Perchè in un contesto generale in cui viene messa in crisi la partecipazione democratica, nel quale si delinea la generazione di una società della sfiducia che inevitabilmente favorisce la caduta verticale dei valori, la rassegnazione alla negazione dei diritti e alla povertà persistente, alla perdita del lavoro, all'aggravarsi delle disuguaglianze, all'aumento della drammaticità delle migrazioni, si rende urgente e deve prendere forza la sfida del NOI.
Lo dobbiamo alle mamme messicane che oggi stanno chiedendo verità e giustizia per i loro figli scomparsi e uccisi. Lo dobbiamo a Giulio Regeni, per il quale chiediamo verità e giustizia. Per sua mamma, era un "giovane contemporaneo": "Una persona intelligente, curiosa, un ricercatore attento che allo studio e alla conoscenza aveva dedicato la sua vita, viaggiando, imparando le lingue, frequentando collegi e università in Paesi diversi". Lo dobbiamo a Valeria Soresin, la ragazza veneziana uccisa a Parigi nella strage del Bataclan. Lo dobbiamo a Cristina Pavesi, che quel 13 dicembre 1990 era in viaggio verso casa dall’università di Padova , vittima di una mafia – la mafia del brenta – dimenticata troppo in fretta. Lo dobbiamo a Silvano Franzolin, giovane carabiniere di Pettorazza ucciso nel 1982 nella strage della Circonvallazione di Palermo.
Viaggiare, studiare, mettersi a disposizione, cercare lavoro… è il presente e la speranza dei diritti civili di tante ragazze e di tanti ragazzi, anche dei tanti ragazzi contemporanei che sono qui oggi in questa casa. Benvenuti a Salvaterra, ragazzi.